
Il collaboratore familiare è una figura prevista dalla normativa italiana che permette ai titolari di imprese individuali, soprattutto nel commercio, nell’artigianato e nell’agricoltura, di avvalersi dell’aiuto di parenti o affini senza instaurare un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato. In pratica, il collaboratore familiare è un parente che presta la propria attività in modo abituale e prevalente, ma senza vincolo di subordinazione e senza un contratto di lavoro formale.
La collaborazione familiare è regolata dall’art. 230-bis del Codice Civile e da specifiche normative settoriali. Può riguardare coniugi, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado. Il collaboratore familiare non percepisce una retribuzione fissa, ma può ricevere compensi o utili in base agli accordi familiari e alle risultanze di bilancio.
Chi può essere collaboratore familiare
Possono essere collaboratori familiari il coniuge, i figli, i genitori, i fratelli e le sorelle, i nonni, gli zii, i nipoti, purché rientrino nei limiti di parentela previsti dalla legge. La collaborazione deve essere svolta in modo continuativo e prevalente rispetto ad altre attività lavorative.
Come funziona la collaborazione familiare
Il collaboratore familiare partecipa all’attività dell’impresa senza un contratto di lavoro e senza orari prestabiliti. Non è previsto un compenso fisso, ma può essere riconosciuto un compenso in base agli utili dell’impresa. La collaborazione deve essere dichiarata all’INPS e, in alcuni casi, all’INAIL, per la copertura assicurativa contro gli infortuni.
Obblighi contributivi e assicurativi
Anche se non esiste un contratto di lavoro, il titolare dell’impresa deve iscrivere il collaboratore familiare alla gestione previdenziale INPS (Gestione commercianti, artigiani o coltivatori diretti, a seconda del settore) e, se necessario, all’INAIL. I contributi sono dovuti anche se il collaboratore non percepisce un vero stipendio. L’omessa iscrizione comporta sanzioni amministrative e il rischio di accertamenti da parte degli enti di controllo.
Differenze con altre forme di collaborazione
Il collaboratore familiare si distingue dal lavoro subordinato e dal lavoro autonomo perché manca il vincolo di subordinazione, non ci sono orari fissi né un salario prestabilito. Diverso anche dal coadiuvante familiare, che in agricoltura e artigianato può essere soggetto a regole specifiche e a una maggiore formalizzazione del rapporto.
Esempi pratici
Un panettiere che si avvale dell’aiuto quotidiano della moglie in negozio, un agricoltore che lavora insieme ai figli, un artigiano che coinvolge il fratello nella gestione della bottega: in tutti questi casi si parla di collaborazione familiare, purché l’attività sia abituale e prevalente.
Domande frequenti (FAQ)
- Serve un contratto scritto? No, ma la collaborazione va dichiarata agli enti previdenziali.
- Il collaboratore familiare ha diritto a ferie o malattia? No, non essendo un lavoratore subordinato.
- È obbligatoria l’iscrizione INPS? Sì, se la collaborazione è abituale e prevalente.
- Si può assumere un familiare come dipendente? Sì, ma in quel caso si applicano tutte le regole del lavoro subordinato.
Storia e novità normative
La figura del collaboratore familiare nasce per riconoscere il contributo dei familiari nelle piccole imprese, soprattutto a conduzione familiare. Negli ultimi anni, l’INPS ha intensificato i controlli sulle false collaborazioni familiari, imponendo una maggiore attenzione alla distinzione tra aiuto familiare e lavoro subordinato mascherato. La legge di bilancio 2022 ha rafforzato l’obbligo di iscrizione e contribuzione per i collaboratori familiari, soprattutto in agricoltura e artigianato.